Caduta e rinascita della grafica giapponese
Postato da Alberto Bertolazzi il24 luglio 2015. Olivier Debie è seduto nel suo studio affacciato sulla Mosa, nel cuore di Liegi. Sullo schermo piatto trasmettono l’evento più atteso dell’anno: la presentazione del logo per i Giochi Olimpici di Tokyo 2020. Tutti hanno negli occhi il bellissimo simbolo dell’edizione del 1964 e si aspettano grandi cose. Il processo di selezione è stato particolarmente rigoroso e trasparente, e il vincitore annunciato, il designer giapponese Kenjiro Sano, è molto stimato in patria. Appena il disegno vincente viene svelato, Debie salta in piedi e comincia a telefonare. Tre giorni dopo, presenta denuncia per plagio. Il clamore è immenso e dal Giappone arrivano commenti increduli. D’altra parte la somiglianza del nuovo logo con quello creato dal designer belga quattro anni prima per il Théatre de Liège è impressionante. Il disegno delle Olimpiadi contiene una “T” (per Tokyo) sagomata da un cerchio bianco e formata da due triangoli irregolari sfalsati e un piccolo tondo rosso: a parte quest’ultimo particolare, che richiama il Sol Levante, la “T” sembra presa dal logo di Debie.
Il logo di Sano e quello di Debie
Le parole di giustificazione di Sano e la difesa d'obbligo da parte del comitato olimpico giapponese non sono sufficienti a frenare l’ondata di sdegno che arriva dal resto del mondo. Passa poco più di un mese. A settembre, i committenti sono costretti a ritirare il logo e indire un nuovo concorso. Finalmente, dopo un lungo e tormentato processo di selezione, il 25 aprile 2016 si procede alla nuova votazione: il vincitore è l’artista Asao Tokolo, con un anello a scacchi colorato nel tradizionale blu indaco.
I nuovi loghi per i Giochi di Tokyo 2020 studiati da Tokolo
Una versione modernizzata del motivo noto nel periodo Edo (1603-1867) come ichimatsu moyo e che suggerisce al resto del mondo un messaggio di conservazione: “Abbiamo capito, ci siamo sbagliati, torniamo alla tradizione”.
Mostra “La catastrofe e il potere dell’arte” 2018 (a sinistra) e Fiera del libro usato di Hachiōji 2017 (a destra)
Molti osservatori nipponici individuano in questo momento - di caduta e immediata rinascita - il punto di svolta del graphic design in Giappone. Nei decenni precedenti, l’espressività artistica orientale è stata messa su un ideale piedistallo grazie a cinque pilastri concettuali: il culto del kawaii, il simbolismo floreale, l’utilizzo artistico del caratteri di testo, l’eredità dell’estetica calligrafica e la gestione sperimentale del colore. Dalla “figuraccia” olimpica in poi, s'è reso necessario un processo di rapido rinnovamento.
Premio per la migliore carta da parati 2018 (a sinistra) e Settimana culturale dell’architettura 2019 (a destra)
Lo pensa anche Hirokazu Abeki, fondatore dello studio Abekino Design e autore della prefazione al libro Originalità della grafica giapponese, edito da NuiNui: “Il lavoro che ho svolto è stato un tentativo di esplorare cose nuove, distaccate dai valori correnti… Sin dai tempi dell’“incidente” del 2015, quando il simbolo olimpico per le Olimpiadi di Tokyo 2020 progettato da Kenjiro Sano fu accusato di plagio, sconvolgendo tutto il settore grafico giapponese, preferisco cercare il più possibile in me stesso gli accenni di valori nuovi, piuttosto che ispirarmi a quelli esistenti”.
Biglietto augurale di Capodanno 2018
Le immagini che accompagnano l’articolo sono tratte dal libro Originalità della grafica giapponese, che illustra 110 progetti recenti realizzati da designer nipponici, in rappresentanza delle nuove tendenze espressive dei creativi del Sol Levante.