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Sumie, Wei Tang e il nero profondo

Postato da Maria Pia Bellizzi il
Sumie, Wei Tang e il nero profondo

“Pennello, inchiostro, carta e pietra: i quattro tesori dell’arte dell’inchiostro. Ma Wei Tang credeva che uno di essi brillasse di più. Raccontano che Wei Tang non avesse un bel carattere. Era ottusamente, genialmente chiuso nei propri pensieri. Qualcuno credeva che fosse stupido, perché non salutava e non si inchinava di fronte ai principi e ai funzionari. Era un alchimista, un artigiano e un artista. Fabbricava i migliori pennelli della Cina, fatti da più strati concentrici di peli di lunghezza differente, disposti attorno a un nucleo centrale che serviva da serbatoio. I suoi kōgō avevano setole rigide, ricavate da peli di cavallo, daino, tasso, volpe o coniglio; i nangō erano fatti con peli di capra ed erano morbidi. Si diceva che i suoi pennelli fossero all’altezza di quelli del grande Meng Tian, fatti col pelo di cammello, allo stesso tempo morbidi e rigidi. Wei Tang non era soddisfatto, benché la sua cura fosse proverbiale. Era persuaso che il problema fosse nella formula dell’inchiostro: il nero non era abbastanza intenso, e la consistenza era troppo grumosa. Ne era così convinto che aveva rifiutato di usare l’inchiostro che l’imperatore stesso gli aveva fatto avere. Un gesto scandaloso, poiché l’inchiostro dell’imperatore aveva grandissimo valore: i sudditi lo donavano ai propri principi, e nell’esercito si usava per scrivere ma anche per curare le ferite e le malattie infiammatorie. Wei Tang andava diritto per la propria strada.

Raccontano quindi che venne il giorno in cui i suoi sforzi ottennero la giusta ricompensa. Bruciando legno di pino e frassino sotto un imbuto e condensando il fumo su una copertura rigida, aveva ottenuto una polvere nerissima che poi aveva spazzolato all’interno di un contenitore. Per renderlo compatto, aveva aggiunto una miscela di colla, ricavata da corna d’animale, e olio di sesamo. Poi, come da tradizione, aveva fatto seccare il composto in bastoncini allungati e solidi. Strofinandola su una pietra scavata, la materia dura tornava a essere polvere e si mescolava con la pura acqua di fonte, lasciando sulla parte concava della pietra il prezioso inchiostro. Era finalmente il nero profondo che desiderava”.

Questo narravano i monaci zen che dalla Cina portarono in Giappone l’arte della pittura a inchiostro. Qualcosa di vero sulla grande qualità dell’invenzione di Wei Tang doveva esserci, visto che Xiao Ziliang, principe del sud durante la dinastia Qi, scrisse che quell’inchiostro era meglio della lacca…

L’affascinante tecnica della pittura a inchiostro giapponese è descritta nell’originale libro Sumie – l’arte giapponese della pittura a inchiostro, scritto e illustrato dal maestro Shozo Koike (in collaborazione con Raffaella Costanzo e Anna Cristina Alves Moreira). Da questo volume sono tratte le illustrazioni dell’articolo.

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